La prossima primavera gli italiani saranno chiamati a votare per rinnovare il Parlamento. Il quadro che ci si presentava era veramente desolante. Negli ultimi anni abbiamo, infatti, assistito al progressivo spostamento dell’intero arco politico verso posizioni sempre più di destra. Alle destre più “tradizionali” rappresentate (nella versione più gretta, razzista e xenofoba) dal duo Lega Nord – Fratelli d’Italia e (nella versione più moderata) da Forza Italia, si sono aggiunte due nuove varianti: il Partito Democratico e il Movimento 5 stelle.

Il primo (attualmente al governo) è stato entusiasta promotore del Jobs Act (che ha ulteriormente precarizzato il mondo del lavoro), dell’innalzamento dell’età pensionabile, dell’ennesima riforma peggiorativa dell’istruzione (con l’introduzione del lavoro gratuito obbligatorio per gli studenti delle scuole superiori), di tagli alla sanità, dell’attacco alle Ong impegnate a salvare vite nel Mediterraneo e di accordi con le autorità libiche finalizzati a trattenere in Africa chi prova a scappare da guerra e miseria, fingendo di non sapere che quelle stesse autorità libiche praticano la tortura in veri e propri campi di concentramento e tollerano la nuova tratta degli schiavi che nei loro territori si sta consumando.

Il secondo è il miglior interprete, con la Lega, del populismo di destra, sbandierando slogan anti-sistema, salvo poi votare contro le unioni civili, astenersi alle votazioni per riconoscere la cittadinanza ai bambini figli di stranieri nati su territorio italiano, votare contro la legge pensata per punire l’apologia di fascismo, strizzare l’occhio a Nigel Farage, guardare con ammirazione a Trump e Rajoy, definire le navi impegnate nei salvataggi nel Mediterraneo taxi al servizio degli scafisti, diffondere idee razziste e xenofobe, facendo leva sul rancore e sulla paura dettati dalla crisi e dall’impoverimento.

Qualche mese fa, un tentativo di ricostruzione di una lista di sinistra è stato fatto. Tanti militanti di base ci hanno creduto e hanno speso energie nel progetto. Ma quasi da subito, vecchi politici, espressione di partiti che fino a qualche tempo prima avevano sostenuto il Partito Democratico o, peggio ancora, che del Partito Democratico erano stati illustri esponenti e addirittura ministri, hanno messo le mani su quelle assemblee, cercando di traghettarle nuovamente verso il centro, in un’alleanza (organica o post-elettorale, questo è resta ancora da capire) proprio con quel Partito Democratico responsabile dei provvedimenti antipopolari cui abbiamo appena velocemente accennato. A metà novembre, poi, gli stessi promotori hanno dichiarato unilateralmente chiusa quell’esperienza, revocando l’assemblea nazionale che essi stessi avevano convocato e decretando, in questo modo, la definitiva possibilità (semmai avessero avuto questo come obiettivo) di presentare alle elezioni un progetto seriamente anticapitalista, antifascista, antisessista, attento ai bisogni delle masse popolari e non prono ai parametri di austerità imposti dai trattati europei.

Ebbene, di fronte a tutto questo non siamo riusciti a restare fermi. E abbiamo deciso di farci carico delle giuste aspirazioni e della voglia di protagonismo e riscatto che, pur tra mille difficoltà, le masse popolari stanno esprimendo. In poche parole: abbiamo deciso di candidarci.

Ma chi siamo? Da ormai più di due anni abbiamo occupato un ex ospedale psichiatrico giudiziario nel cuore di Napoli. In pochi mesi abbiamo trasformato un luogo di reclusione, sopruso e sofferenza in una vera e propria casa del popolo. Abbiamo combattuto  battaglie – e alcune le abbiamo vinte – contro il lavoro nero e lo sfruttamento; abbiamo avviato un ambulatorio gratuito dove, a fronte dei continui tagli alla sanità pubblica e i prezzi spesso inaccessibili di quella privata, è possibile consultare specialisti, effettuare ecografie, diffondere cultura della prevenzione; uno sportello legale aiuta i migranti ad ottenere i documenti necessari e a conoscere e rivendicare i propri diritti; una camera popolare del lavoro assiste i lavoratori a difendersi dai ricatti e ad organizzarsi per reagire; abbiamo sostenuto attivamente le lotte che attraversano tutto il territorio nazionale in difesa dell’ambiente e contro le speculazioni e le grandi opere inutili (linee ferroviarie ad alta velocità in Val di Susa, gasdotti in Puglia, sistemi di comunicazioni satellitari ad uso militare in Sicilia, trivellazioni devastanti in cerca di carburanti fossili in Basilicata); ogni giorno, negli spazi che abbiamo liberato, è possibile partecipare a decine di attività sportive, ludiche, culturali e politiche.

Insomma, siamo stati tra la gente. E dalla gente abbiamo imparato tantissimo. Abbiamo ascoltato le esigenze, abbiamo raccolto i bisogni, abbiamo provato ad organizzare la delusione, la giusta rabbia, la voglia di cambiare le cose. Abbiamo praticato quotidianamente l’integrazione e la solidarietà. Abbiamo mostrato che insieme siamo una forza, e questa forza l’abbiamo esercitata, attraverso la pratica del controllo popolare sulle elezioni amministrative, nei centri di accoglienza per migranti, nei consultori, all’Ispettorato del lavoro. E attraverso il controllo popolare abbiamo restituito alla gente fiducia, protagonismo e capacità di autogoverno.

Il 18 Novembre, quindi, intorno a queste poche e chiare parole d’ordine, abbiamo lanciato un’assemblea nazionale per raccogliere tutte le energie sparse sul territorio nazionale che avevano bisogno solo di guardarsi in faccia, riconoscersi e riconoscere di essere dalla stessa parte della barricata.

La risposta è stata subito entusiasmante. Il video di lancio ha ottenuto decine di migliaia di visualizzazioni e condivisioni, in tanti ci hanno scritto per sapere come partecipare e, seppur con pochissimo preavviso (appena tre giorni), 800 persone hanno partecipato all’assemblea.

Comitati territoriali, lavoratori in lotta, migranti, inseganti e ricercatori precari, singoli attivisti, pezzi di sindacati di base e di partiti (in particolare Rifondazione Comunista): tutti accomunati dalla voglia di costruire un percorso realmente scaturito dalle esigenze del popolo e che a quelle esigenze mira a dare risposta.

Il primo punto sul quale abbiamo battuto e ci siamo trovati subito d’accordo è il rispetto dei principi fondamentali della nostra Costituzione. La centralità e le tutele garantite al lavoro. Un lavoro che vogliamo dignitoso e sicuro. La solidarietà sociale, il dovere dello Stato di rimuovere le cause della disuguaglianza, la sanità e l’istruzione pubbliche e gratuite per tutti. E poi la promozione attiva dell’uguaglianza di genere, la tutela dell’ambiente, il dovere di solidarietà e di accoglienza verso chi scappa da guerra e miseria, la ricostruzione di un welfare inclusivo e finalmente incisivo.

La cornice che intendiamo dare a tutto ciò resta la pratica del controllo popolare: che per noi è una palestra dove le classi popolari si abituano ad esercitare il potere, riprendendo innanzitutto confidenza con le istituzioni e i meccanismi che le governano. Ogni volta che il popolo reclama il diritto di capire che cosa passa sulla sua testa, guardarci chiaro, reclamare quei – pochi – diritti ancora garantiti, apprendere il funzionamento delle amministrazioni, in quel momento si sta esercitando un controllo popolare. Per noi oggi il controllo popolare è il primo passo per stimolare l’attivismo, la partecipazione, l’impegno di tutti, senza distinzioni, senza barriere che non siano quelle della storia, lo stare tutti dallo stesso lato delle divisione sociale. Di questo passo, siamo convinti che il popolo sarà in grado di dotarsi degli strumenti per esercitare finalmente il potere di cui è legittimo depositario. Il potere di controllare la produzione e la distribuzione della ricchezza, il potere di realizzare la democrazia nel suo senso vero e originario.

Insomma, possiamo dirlo. Il nostro obiettivo è dare potere al popolo!

Per questa ragione, non consideriamo affatto l’appuntamento elettorale come un punto di arrivo. Certo, miriamo a coinvolgere quante più forze possibili e ad ottenere il miglior risultato possibile, magari a entrarci in questo Parlamento. Ma la prima cosa che vogliamo è ridare fiducia, rimettere al centro i temi che ci stanno veramente a cuore, in una campagna elettorale che rischia di essere la più reazionaria degli ultimi vent’anni, nella quale tutte le forze politiche fanno a gara a chi è più razzista, a chi è disposto a tagliare più diritti, a chi abbaia di più per fomentare paure, insicurezza, rassegnazione.

A questo noi vogliamo opporre un progetto di lunga durata: tessere un filo che leghi ogni comitato territoriale, ogni luogo di lavoro, ogni scuola, ogni quartiere, ogni singola persona che sia capace di sentire sulla propria pelle le ingiustizie e sia disposto a combatterle.

Ex Opg Occupato “Je so’ Pazzo”

 

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